ACNE ESCORIATA
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Messaggio  E. Sab Lug 16, 2011 8:23 pm

Come si cambia per non morire, come si cambia per ricominciare...
di Emanuela Governi

8 maggio 2011



Dal sito: lastradweb
di Emanuela Governi

La rana e lo scorpione... questione di natura?



"Una rana stava serenamente sguazzando in un fiume quando ad una sponda si avvicinò uno scorpione. "Devo passare dall’altra parte - disse - ma non so come fare, io non so nuotare e se provo affogherò. Tu potresti aiutarmi trasportandomi sul tuo dorso, te ne sarei molto grato". La rana perplessa rispose: "Ma se io ti lascio salire sul mio dorso tu potresti pungermi ed uccidermi". Lo scorpione rassicurò la rana: "Non ti preoccupare, perchè dovrei farlo? Se ti pungessi morirei anch’io perchè affogheremmo entrambi nel fondo". La rana si sentì rassicurata dalle spiegazioni dello scorpione e lo fece salire. Quando furono a metà del fiume, la rana sentì un dolore intenso provenire dalla schiena e capì di essere stata punta dallo scorpione. Mentre entrambi stavano affondando la rana trovò la forza per chiedere all’insano ospite il perché del suo folle gesto: "Ma perchè l’hai fatto? Adesso moriremo entrambi". Lo scorpione rispose "Perché sono uno scorpione ... e questa è la mia natura".

Ogni volta che nella mia vita ho riflettuto sul carattere o sul comportamento, mi è sempre venuta in mente questa storia... Un tempo perché trovavo in essa la giustificazione di comportamenti "folli" miei o altrui, oggi perché con nuove conoscenze e nuova consapevolezza mi chiedo quanto ci sia di "immaturo" e dannoso nella "morale" sottesa a questa storiella: "ognuno nasce in un certo modo e le possibilità di cambiamento o di variazione rispetto all’origine sono limitate o impossibili". Una sorta di immobilismo causato da una convinzione fatalistica dunque. E’ davvero così? Siamo davvero impotenti rispetto al nostro carattere ... alla natura, alla storia, alla tradizione del "così mi è stato detto di fare"...???

Quanto c’è di genetico e programmato e, dunque difficilmente malleabile a monte, e quanto, invece, di acquisito, appreso, esperito, e dunque ri-modificabile a valle, nel nostro modo di PENSARE, di ESSERE, di ELICITARE al mondo esterno?

Per rispondere a queste domande e fare un salto più in là dei semplici "miti" che guidano e dominano anche i nostri comportamenti (e prima ancora le nostre idee), cercherò di trattare del carattere e del comportamento basandomi su quanto altri hanno scritto e studiato prima di me ... e sulla mia esperienza ... consapevole che quello che scriverò sarà già ... un nuovo modo di pensare e di essere...o perlomeno, un passo in più all’interno di un percorso.

Personalità, carettere e comportamento...

Per trattare di carattere e comportamento è essenziale definire preliminarmente cosa intendiamo con il termine "personalità" in quanto sia il primo che il secondo termine sono alcuni dei suoi elementi costituenti.

La personalità è "l’ insieme degli elementi che consentono l’acquisizione di informazioni, l’elaborazione delle medesime e la loro comunicazione mediante mezzi psicofisici che caratterizzano l’unicità e l’originalità di ciascun individuo".

Cercando sul dizionario, il termine carattere nei suoi vari usi (tipografici, psicologici) fa riferimento sempre ad un tratto, un segno ... ciò mi ha spesso portato a considerarlo come un qualcosa di immutabile... Un segno inciso ... un calco entro cui si inserisce "qualcosa" che assumerà sempre quella forma.

In realtà esso è qualcosa di diverso, di più complesso e dunque di più affascinante di una semplice stampa o forma. Secondo la definizione che si ritrova nell’articolo "Il carattere-parte prima" nel giornale Lastrad@web.it , il carattere è una componente della personalità e, in particolare, "è quel mezzo in grado di trasmettere l’insieme delle caratteristiche FISIOLOGICHE (perché benessere e sintomi manifestano la nostra personalità), MORFOLOGICHE (in quanto ognuno porta le proprie sembianze in maniera del tutto personale) ed ETOLOGICHE (dal momento che l’adattamento all’ambiente avviene in maniera soggettiva) che differenziano gli esseri viventi". In sostanza, il carattere trasmette all’esterno, attraverso le sue "funzioni"(attività, emotività, sensibilità, tenerezza, neutrergività, risonanza, consapevolezza, competitività) non un nostro calco immutabile, la nostra "forma", ma il nostro modo di pensare.

Il comportamento viene definito come "quel complesso di reazioni che un individuo manifesta di fronte a determinati impulsi. Esso risulta dalle strategie più elaborate nelle zone encefaliche del pensiero che vengono trasmesse, mediante parole, attraverso il carattere". Dunque il COMPORTAMENTO definisce la condotta globale di un individuo che è determinata dall’insieme di CARATTERE e TEMPERAMENTO (abbigliamento, prossemica, scelte di vita, ecc ...).

Queste ultime due definizioni mettono in rilievo un aspetto fondamentale dei due elementi della personalità analizzati: la loro stretta connessione con il pensiero ... anzi, la dipendenza dai nostri pensieri e, nello specifico, dalle idee che produciamo. Quindi, l’osservazione del carattere e nel complesso del comportamento non è mai finalizzata all’analisi dello stesso ma all’analisi delle idee che ci spingono a comportarci o ad elicitare "noi stessi" in quel modo, a fronte di quegli stimoli e di quelle emozioni.

Il pensiero di cui si tratta e a cui si ci riferisce qui è "la struttura principale della nostra mente che ha come scopo la COSTRUZIONE DELLE IDEE mediante il meccanismo della riflessione, per l’elaborazione delle strategie più idonee alla risoluzione dei problemi relativi all’appagamento di bisogni e desideri".

Il cervello, di fronte all’emergere di un bisogno, riflette (esamina e valuta attentamente per assemblare idee, prelevando dati parcellari dal deposito della memoria) e crea un’idea (alla quale si aggancerà un’emozione di tipo positivo, negativo o neutro): raccoglie i dati, li elabora, li sceglie, verifica ciò che sta producendo, associa gli elementi e poi struttura un concetto. In ogni momento di questo processo, in modo NATURALE, interviene un criterio fondamentale: la logica. La Logica è paragonabile ad una bussola che ci "orienta" verso Leggi di Natura, per fare in modo che un pensiero possa risultare corretto per tutti gli esseri umani di ogni età, epoca e luogo.

Come dicevamo, il risultato "valutato da logica" dovrebbe essere una strategia positiva per l’individuo, la messa in campo di un comportamento che contraddistingue una personalità dotata di "’autodisciplina (metodo e regole di insegnamento adeguati), l’autocontrollo (riscontro, verifica e utilizzo mirato delle proprie capacità), l’autocomando (affidamento a se stessi della responsabilità della propria vita) e l’autogestione (amministrazione di sé, al meglio possibile)".

Certo. Ma... non sempre è così. La logica verifica le idee prodotte dal pensiero, se l’idea è corretta, esprime parere positivo altrimenti esprime parere negativo ma se ciò che un individuo propone è reiteratamente scorretto, essa può smettere di funzionare ... e questo vale anche per l’appagamento di bisogni indispensabili come la sopravvivenza in quanto, a certe condizioni può venire compromessa l’attività neurovegetativa.

In base a cosa accade ciò se la logica è data in dotazione a tutti dalla nascita?

Tornando alla nostra storia, se analizziamo il comportamento dello scorpione nella prima fase possiamo notare una buona strategia (apparentemente): ha bisogno di attraversare un fiume, non può farlo da solo, cerca un alleato, lo convince della logica che sta alla base della sua richiesta e impossibilità di offesa e?

Che cosa succede nel mettere in atto quel pensiero? Cos’è che interviene a non permettere il raggiungimento dell’obiettivo al punto da portarlo a commettere un atteggiamento "suicida"?

La natura delle sue idee? Il fatto che è geneticamente programmato per uccidere? Per lo scorpione può darsi... ma anche noi a volte abbiamo comportamenti opposti ai nostri precetti che ci danneggiano invece di favorirci... è la genetica? Le idee e il carattere/comportamento sono questioni di natura?

Per quanto riguarda le componenti della nostra personalità negli studi di biologia si fa sempre più strada la convinzione che gli elementi genetici si possono individuare solo nelle componenti di base della personalità.

E ancora, a fronte della disputa tra neuroscenziati che sostengono che le info genetiche creino la base indifferenziata della personalità su cui l’ambiente inciderà in maniera sostanziale (ambiente) e altri che sostengono che nel DNA sono contenuti gli schemi comportamentali che si attivano a seconda delle stimolazioni esterne (natura), c’è una terza visione secondo la quale la strutturazione anatomica di un essere umano è il risultato di informazioni contenute nel DNA di ogni singola cellula:

* Le strategie operative cellulari finalizzate alla propria sopravvivenza, sono sostenute prettamente dalla via genetica ereditaria (ogni cellula, per esempio, sa come deve sopravvivere, fin da subito); quelle orientate alle operazioni funzionali pertinenti alle proprie competenze, pur sostenute da una base gentica, vengono condizionate dagli apprendimenti provenienti dall’ambiente esterno (ogni cellula, infatti, si specializza grazie alle informazioni acquisite);

# Le cellule dei tessuti nobili (sistema nervoso) sono estremamente plastiche, cioè reagiscono agli stimoli esterni ADATTANDOSI e TRASFORMANDOSI di conseguenza; siccome in questi tessuti si elaborano i PENSIERI COMPLESSI, possiamo concludere che l’ambiente esterno è preponderante nella creazione di un database in grado di strutturare la nostra personalità".

Quindi, non la genetica, il DNA, la sorte ci fanno pensare in quel modo e ci fanno agire così, ma l’ambiente esterno e, nel dettaglio, quello che noi apprendiamo dagli stimoli che riceviamo nel corso della nostra vita.

Abbiamo precedentemente tracciato (in breve) il processo che segue il pensiero per la costruzione delle idee. Ora aggiungiamo un elemento a quel percorso: "le idee si creano sulla base di elaborati che consistono nell’assemblare in vari modi, non la genetica ma la nostra MEMORIA STORICA (che contiene la storia della nostra vita) e PROCEDURALE (contiene le informazioni relative alla messa in atto di azioni abitudinarie), frutto delle esperienze PERSONALI. In sostanza, gli apprendimenti acquisiti nell’arco della propria esistenza, risultano essere fondamentali nella determinazione del nostro CARATTERE e, in buona parte, tutto ciò influenzerà i nostri accadimenti".

Per definizione, l’apprendimento è un processo psicodinamico e rappresenta la capacità strutturale che un essere umano ha in natura, di acquisire qualunque stimolazione dal mondo esterno. Questo sistema complesso, trasporta nel meccanismo di elaborazione dati già selezionati che arricchiranno di ricordi il serbatoio della nostra memoria (e non solo), ed è in grado di modificare il sistema con cui percepiamo, agiamo, pensiamo e pianifichiamo, attraverso un’azione diretta sui circuiti neurali implicati, determinando dei condizionamenti strutturali.

Ritornando allo scorpione e al suo comportamento "folle", opposto a quello che si era prefisso di mantenere, potremmo dire - a questo breve punto della tesina e con le informazioni che abbiamo ad ora - che il comportamento dello scorpione (in questo caso opposto al naturale istinto di conservazione) è dato proprio dagli apprendimenti che egli ha percepito, elaborato, interiorizzato nell’arco della sua vita: pungere e uccidere specie animali differenti dalla propria. Dobbiamo anche sostenere che il suo modus operandis fino al momento dell’incontro con la rana, si è dimostrato vincente: gli ha permesso di sopravvivere ad attacchi di altri predatori e di procacciarsi il cibo. Egli non conosce altre modalità che quella e non si è mai trovato nella situazione di alleanza con un’altra specie ... In breve: è di fronte ad una situazione vecchia (l’incontro con un’animale di specie diversa) per un motivo nuovo (né procacciarsi cibo né il difendersi) avendo a disposizione apprendimenti dati e confermati nel tempo. Che comportamento potrà adottare se non quello di sempre?

Tornando a noi umani, un altro fattore non di poca importanza incide sugli apprendimenti che riceviamo: le nostre origini, la famiglia, le figure per noi rilevanti, la storia, la tradizione... e...l’affetto di cui sono impregnati questi "elementi".

Esiste una branca di studio definita psicogenealogia secondo cui alcune nostre scelte di vita (comprese aspirazioni, successi e fallimenti) sono legate alle esperienze vissute dai nostri antenati (almeno due generazioni) e pervenuteci tramite ciò che Jung chiamava "Inconscio collettivo"o "familiare". In particolare, la psicogenealogia utilizza gli elementi anagrafici dei nostri antenati ed altri dati amnestici (ricordi positivi e negativi, informazioni circa la professione e le abitudini delle persone interessate, l’analisi dei nomi e dei cognomi, l’età chiave del proprio romanzo familiare, ecc.) per comprendere le motivazioni dei comportamenti, con l’obiettivo di chiarire quanto si è trasmesso, di generazione in generazione, in termini di ripetizione di avvenimenti.

In pratica, l’inconscio familiare rappresenta quella linea guida fatta di elementi in comune, tramandati di generazione in generazione che costituisce un retroterra culturale identificativo e che spiegano il perché di alcuni comportamenti apparentemente ingiustificati e non in linea con il logico appagamento dei propri bisogni. A tal proposito e a titolo esemplificativo rispetto a questo ulteriore elemento di analisi dei comportamenti umani, riporto la scena del film "Chocolat". La scena rappresenta un momento di confronto tra madre, la protagonista Vianne proprietaria di una cioccolateria da poco aperta nel paesino, e figlia, Anouk, che stanca di viaggiare da un posto all’altro fa parlare al suo posto un canguro immaginario che non può saltare a causa di una gamba rotta di nome Pantouffle. La bambina chiede alla madre, tramite Pantouffle, di raccontarle di nuovo la storia della nonna, presente in tutto il film all’interno del vaso di ceneri... e non solo...

ANOUK: Pantouffle vuole sentire la storia del nonno e della nonna!

VIANNE: oh!

ANOUK: non dire "stasera no", tu dici sempre "stasera no!"

VIANNE: va bene! Tuo nonno "George Rocher"era il giovane farmacista del Paese...

NARRATORE: era la storia preferita di Anouk, raccontata sempre con le stesse parole. George era onesto, facoltoso e stimato dai suoi clienti. Ma george non era contento. Per lui la vita non poteva essere sempre preparare olio di fegato. Nella primavera del 1927 la "Societè Farmacetique" formò una spedizione per il centro America per studiare le proprietà mediche di alcuni composti naturali. George fu il volontario più entusiasta della spedizione. Ma la sua avventura ebbe una svolta inaspettata: una sera, fu invitato a bere cacao grezzo con un pizzico di peperoncino; la stessa bevanda che gli antichi maya usavano nelle cerimonie sacre.

I maya credevano che il cacao avesse il potere di rivelare desideri nascosti e svelare il destino. E fu così che George vide Cizza per la prima volta. George aveva ricevuto un’educazione cattolica, ma nella sua storia con Cizza era disposto a sviare le regole tradizionali del corteggiamento. Gli anziani della tribù tentarono di mettere in guardia George su di lei: era una nomade, la sua gente si spostava col vento del nord, da un villaggio all’altro preparando antichi rimedi senza mai stabilirsi. Non era una buona scelta come sposa. George non badò ai loro avvertimenti e per qualche tempo sembrò che lui e Cizza avrebbero condotto una vita felice insieme in Francia. Purtoppo il vento irrequieto del nord aveva altri progetti.

Una mattina George si svegliò e scoprì che Cizza e la bambina, Vianne, erano andate via. Madre e figlia erano destinate a vagare da un villaggio all’altro preparando antichi rimedi a base di cacao, viaggiando, con il vento... proprio come il popolo di Cizza aveva fatto per generazioni.

ANOUK: continuerà così per sempre?

VIANNE (guardando il vaso di ceneri): buonanotte mamma!

Questo comportamento è rigido e illogico tanto quanto quello dello scorpione. È uno schema ripetuto, privo di riflessione... Forse è apparentemente meno dannoso in quanto non procura la morte... ma è usurante tanto quanto quello. È intriso di dolore e sofferenza ed è subìto dalla stessa persona che lo pone in essere. Anche in questo caso come in quello dello scorpione ci chiediamo: quali sono i suoi bisogni? Il bisogno di avere un posto certo in cui far crescere delle relazioni stabili, amicali e amorose, la felicità di sua figlia, l’appagamento derivante dal sentirsi parte di un posto, di una terra... eppure, un "vento del nord" arriva e spazza via tutti questi bisogni per soddisfare bisogni non propri, per missione, per apprendimenti, per abitudine e ripetitività di comportamenti altrui... ancora... per idee apprese.

Viene spontanea una domanda osservando dall’esterno: lei ha trovato l’amore, la figlia è felice, tutti lì hanno imparato a rispettarla e allora...perché non si ribella? Perché non... CAMBIA?

Come per lo scorpione, gli apprendimenti che la protagonista ha ricevuto (e che noi riceviamo) dal proprio contesto di origine hanno inciso una traccia nel suo modo di pensare... e, al momento è l’unica che riesce a cogliere tra le varie possibilità di scelta. In più lei è legata a quell’apprendimento con lo stessa energia a cui è legata alla persona che glielo ha trasmesso: la mamma. Nel mondo umano qualsiasi messaggio porta in e con sé emozioni, affettività e aggressività... i messaggi che acquisiamo in famiglia vengono appresi prevalentemente attraverso il canale affettivo... giusto o sbagliato che sia il messaggio che ci hanno lasciato i nostri cari, esso è intriso di amore e di affetto... e a queste condizioni molte volte siamo meccanicamente portati a pensare che mettere in discussione o addirittura sostituire un apprendimento che ha fonte dall’amore significhi tradire, mettere in discussione e sostituire quell’amore e la persona che ce lo ha tramandato.

Riepilogando quando detto finora cerchiamo di rispondere alla domanda: perché non si cambia? Perché è difficile anche ammettere di volerlo fare?

1. Molte volte le idee che ci vengono messe in discussione o mettiamo in discussione sono quelle idee apprese in famiglia o da figure altamente significative per noi e abbiamo paura di tradirle: negando o distruggendo il messaggio inviatoci abbiamo il sentore di fare lo stesso con l’amore con cui è stato trasmesso;

2. Il nostro modo di pensare, le nostre idee ... semplicemente ... sono nostre e per quanto male facciano rappresentano la nostra identità, la nostra "coesione". La nostra sicurezza. Anche quando fanno male vengono percepite il male minore rispetto all’incertezza e al vuoto che proiettiamo se ci immaginiamo senza ciò che fino ad oggi è stato "io";

3. Ci sentiamo messi in discussione come persone "sono sbagliato? Mi hanno detto cose sbagliate?" e percepiamo il dispiacere e il lavoro da fare per cambiare, spesso con visione drammatica (anch’essa appresa) e di incertezza (fisiologica) relativa all’attivazione dell’interazione nucleare debole necessaria per modificare le idee e le loro matrici;

4. Perché ci mettiamo nella concezione di cambiare... sapendo che per farlo necessariamente dovremmo abbandonare qualcosa che "mal" ci rappresenta... dovremmo operare una scelta e, inevitabilmente, perdere qualcosa.

5. perché stiamo andando a modificare le fondamenta su cui avevamo eretto la nostra casa... o solo qualche pilastro.

Per tutti questi motivi è ovvio che spessissimo capita di difendere le nostre idee, il nostro carattere, il nostro comportamento da un possibile cambiamento e, consapevoli della difficoltà che comporterebbe farlo, rispondiamo più "semplicemente", a noi prima che agli altri: "sono fatto così!".

"UN VIAGGIO DI MILLE MIGLIA DEVE COMINCIARE CON UN SOLO PASSO (LAOZI)"

Accade spesso che partiamo con dei "buoni propositi" e poi, al momento dell’implementazione, li/ci disattendiamo... possiamo partire con dei pensieri neutrergici come lo scorpione o come la cioccolataia e poi ... agire dei comportamenti non confermati dalla logica. E allora, incolpiamo noi stessi producendo sensi di colpa o ci opponiamo giustificandoci "questa è la mia natura!" Perché accade ciò? Perché nel momento in cui si riescono pur a produrre "nuove idee" alla fine agiamo secondo l’"istinto" della natura (scorpione), l’istinto della "cultura" (Vianne)?

"CORRENDO NON SI VIAGGIA..." Questa è la risposta...

Già... correndo non si viaggia! E dopotutto è questo il senso della vita, il viaggio, la crescita, il percorso... Cambiare... morire e rinascere, come le fenici, più forti di prima, potenziando ciò che c’è di saldo e valido e modificando il resto per star meglio. E si può. Con calma, lentezza, e rispetto di noi stessi e dei nostri tempi. Non si può obbligare(che sarebbe ri agire con sistemi vecchi non calibrati su noi stessi) un sistema a funzionare in maniera diversa se prima non abbiamo messo i dati per farlo. E non solo. Non basta immettere i dati... bisogna che questi attecchiscano e si incastrino in posti che devono essere liberati dai vecchi dati... da vecchie idee.

Infatti, ogniqualvolta riceviamo degli Input (ad esempio, nuovi apprendimenti positivi), veniamo investiti da una miriade di microparticelle che veicolano il mezzo (acustico, ottico, tattile, etc.) dentro cui viaggia il messaggio. Queste particelle di energia, si scontrano con i dati contenuti nella nostra memoria, relativi a messaggi simili (come contenuto). La Fisica moderna ci dice che, da tale scontro, si producono delle nuove particelle le quali, per trovare una corretta collocazione, devono aspettare che altre particelle "escano" dal sistema.

Per riuscire a compiere questo percorso, così come Dante nei suoi gironi, occorre una salda e preparata guida che ci illumini nel viaggio più complesso: quello dentro di noi. Occorre la volontà e la consapevolezza di mettersi in gioco e in discussione come individui non finiti e dati ma tendenti al miglioramento e alla trasformazione e la volontà di intraprendere un percorso psicoterapeutico che permetta di apprendere nuovi concetti e ri-apprendere la funzione della logica quale parametro di valutazione naturale per esaminare la correttezza delle nostre idee: in questo modo si possono modificare/sosituire le idee e gli apprendimenti illogici così da ottenere una variazione caratteriale tendente a migliorare il quadro complessivo delle propria personalità.

Lungi dal voler descrivere tutto questo percorso come una simpatica e facile passeggiata, proprio per la sua complessità esso necessita di un lavoro di analisi e di un percorso terapeutico lento e graduale in grado di assolvere contemporaneamente la funzione di cambiamento e rassicurazione, fondamentale per contenere la sensazione di scombussolamento, incertezza, dubbio fisiologica quando si mettono in discussione le proprie convinzioni e, addirittura, le si cambia. Ecco perché è importante la frequenza dei colloqui analitici; durante l’incontro con l’analista, si mantiene alta l’attivazione neutrergica e si acquisisce la consapevolizzazione di essere nel giusto, si sperimentano le idee e i comportamenti nuovi pur dubitando riguardo alle vecchie certezze.

A questo punto della tesina ci saremo resi conto di alcune verità:

1. il comportamento e il carattere sono più propriamente qualcosa di acquisito più che di innato e, quindi, se non ci fanno star bene sia in termini fisici che psichici possono essere cambiati cambiando il proprio modo di pensare;

2. cambiare è difficile perché non si tratta di indossare un nuovo abito ma di riapprendere nuovi dati risistemando o eliminando i vecchi... anche quelli trasmessi da chi ci ha tanto amato;

3. un percorso di psicoterapia è il modo migliore per permettere all’ "E.U." di sperimentare il dubbio e l’incertezza del cambiamento e dell’elaborazione di nuovi pensieri e condotte... senza sensi di colpa, senza fretta, riscoprendo il piacere della logica, di sé stessi, del benessere psicofisico... del viaggio!

"Ma l’irrequieto vento del nord non era ancora soddisfatto. Parlava a Vianne di città ancora da visitare, amici bisognosi da scoprire, battaglie da combattere.... [Vianne getta le ceneri di sua madre nel vento] ... da qualcun altro, la prossima volta.

E fu così che il vento del Nord si stancò e andò per la sua strada."


E.
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Messaggio  E. Sab Lug 16, 2011 8:34 pm

Suggerimenti per abituarsi a pensare positivamente

E.
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Messaggio  Grazia Gio Lug 21, 2011 11:37 am

Ciao E. È importantissimo quello che hai scritto, sono convinta sia la chiave per guarire dall'acne escoriata e dare una svolta positiva alla propria esistenza. Io ci ho pensato e dibattuto molto spesso, sul perché ho questo carattere, che cosa si può fare per modificarlo pur essendo ormai quasi trentenne, se ci sono metodi puntuali da utilizzare per farlo. Quanto invidio chi è ottimista, sicuro di sé, rilassato, reattivo di fronte ai problemi, chi ha senso dell'umorismo e non prende tutto terribilmente sul serio, chi riflette meno e agisce di più, chi non ha paura. Ho sempre giustificato la mia "natura", proprio come tu dici, facendola risalire a un bagaglio genetico immodificabile, mentre invece convengo sia in gran parte frutto dell'educazione ambientale, e di ciò che involontariamente ci ha trasmesso chi ci sta intorno. Solo che modificare un vestito che portiamo da decenni, per restare nella tua metafora, è faticosissimo. Ho letto un libro interessante a tal proposito: "Psicologia della vita quotidiana" di Jacques Van Rillaer. L'ho trovato davvero illuminante: spiegava negli ultimi capitoli come fare a sostituire gli automatismi di pensiero con pensieri alternativi, all'inizio coscienti, che poi man mano dovrebbero rimpiazzare quelli nocivi. Fornisce consigli pratici citando vari studi e sostiene che CAMBIARE MODALITÀ DI PENSIERO È POSSIBILE, anche se necessita un notevole sforzo razionale. Certo è che quando sono piombata nella depressione, l'anno scorso, il pensiero razionale non è servito. Sentivo fosse qualcosa che veniva da dentro, come uno squilibrio chimico che non riuscivo a controllare. È questo il mio timore, che la ragione non basti. Ma è l'unica arma che abbiamo.

Grazia

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Messaggio  E. Gio Lug 21, 2011 12:15 pm

"Quanto invidio chi è ottimista, sicuro di sé, rilassato, reattivo di fronte ai problemi, chi ha senso dell'umorismo e non prende tutto terribilmente sul serio, chi riflette meno e agisce di più, chi non ha paura"

Mi sarebbe piaciuto conoscerti di persona, G., perché credo che vediamo la cosa esattamente negli stessi termini e ti ringrazio per la dritta del libro, che vedrò di procurarmi. Quello che scrivi, però, mi fa riflettere su un paio di cose ancora. Mi sono sempre chiesta come potessero "gli altri" vivere senza sciuparsi come faccio io, dato che tutti viviamo situazioni difficili, materiali e psichiche, tutti veniamo spesso ingiustamente giudicati, moltissimi non ricevono trattamente adeguati alla loro persona, anzi, subiscono vessazioni e mortificazioni continue. E allora? Allora ho iniziato a soffermarmi di più sulle persone con cui entro in contatto: c'è chi fuma; chi si mangia le unghie; chi smette di mangiare;chi ti lascia di botto e sparisce o si eclissa durante una conversazione; chi ha piccoli, innocenti tic o misura costantemente il proprio peso. Cosa significa? Non che siamo tutti psicologicamente disturbati, ma che non esiste una norma secondo cui stabilire, appunto, la normalità. Il ragazzo più brillante e sicuro di sé (e ne ho conosciuti tanti, te l'assicuro, nel bene e nel male) è spesso dominato dall'ansia di brillare sempre e comunque, e anche se immune da disturbi del comportamento, acquista quei tratti di megalomania ed egocentrismo che gli impediscono di guardare a se stesso in una prospettiva più "libera". MA hai ragione nel riferirti a chi non prende tutto troppo sul serio: la chiave è davvero l'umorismo, quello vero, autentico, che non significa smettere di riflettere, ma pensare imparando a RICORDARE quello che si è visto nel mondo e a non farsene dominare come se fosse sempre la prima volta. E qui vengo al secondo punto: cos'è tipico di noi autolesioniste, quando ci escoriamo? L'andare a fondo, giusto? Anche se sappiamo di sbagliare, non riusciamo a fermarci: dobbiamo escoriarci tutte, soprattutto dopo una vicenda emotivamente penosa o frustrante, che ci fa sentire inutili, senza valore e da poco. Eppure non è mai la prima volta, lo sappiamo già che certe situazioni ci faranno sentire male, sappiamo già che certe persone non ci stimano, sappiamo già che avremmo voluto altro per noi e però nella realtà non viviamo quello che avevamo sognato. La coazione a ripetere lo sbaglio di ferirsi per sfogare il dolore nasce, secondo a me, dall'incapacità che abbiamo (almeno nel mio caso è così, spero di nn generalizzare troppo)di prendere posizione nella nostra vita. Un determinato stato di cose va male. Lo si giudica, si cerca di capire come è iniziato, in cosa consiste la cosa che non va, si comprende che si sono fatti degli errori e che non si può cambiare dall'oggi al domani. Ma una volta che si è saputo giudicare, la cosa che ci fa soffrire assume un aspetto diverso: quando si ripresenta, noi la conosciamo già, e possiamo riconoscerla e metterla da parte, per rivolgerci a qualcosa di altro e positivo. Giudicare, riflettere su quello che viviamo dovrebbe fornirci gli strumenti per INTERPRETARE quello che non va e distinguerlo da quello che invece possiamo ancora fare per essere liberi, per capire che meritiamo di vivere sempre e comunque, perché ogni forma di giudizio su di noi è limitata e mai definitiva.
Ci ho pensato a lungo ieri notte, dopo l'ultimo episodio di mortificazione che ho vissuto, dopo il quale non ho resistito e mi sono sfregiata da capo.Però ad un certo punto, mentre ero nel loop del parossismo, mi sono accorta di un fattore nuovo: LA NOIA. mI sono detta: " ma come, ma non si tratta della stessa sensazione di frustrazione dell'altra volta? cambia il soggetto, cambia il contesto, ma ancora una volta qualcuno ha voluto dirmi che mi giudica inutile e inetta perché non faccio le stesse cose che fa lui. Ma se ne soffro, è come se lui avesse ragione, invece l'unica cosa certa è che nessuno può giudicare un altro secondo il proprio modo di essere. Anche solo per questo io SO di essere immune dal suo giudizio. E allora che ci sto a fare davanti allo specchio? Ho ancora la mia vita da mettere in salvo dagli altri, perché aiutarli a distruggerla, quando io sono libera di farne qualunque cosa e nessuno può impormi dei modelli che IO non abbia liberamente e consapevolmente accettato?".

Perdona la prolissità, ma ci tenevo a condividere con voi queste riflessioni, sperando non siano troppo vacue.
Un abbraccio virtuale, ma emotivamente vicino!

E.
Ospite


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Messaggio  Grazia Sab Lug 23, 2011 11:47 am

Grazie E. per aver condiviso i tuoi pensieri. Mi sembra da ciò che dici che tu abbia raggiunto una consapevolezza forse dovuta a un percorso psicologico che ti permette di gestire le situazioni senza perdere il controllo, razionalizzando e riflettendoci sopra; io ancora non ci riesco, vado nel pallone e mi prende il panico per qualunque cosa che sconvolga la mia routine, qualsiasi evento che non va come avrei voluto, come ho programmato, e per cui mi ritengo l'unica colpevole anche se non dipende da me. È proprio questa la fonte delle mie frustrazioni: la constatazione dell'imprevedibilità di ogni cosa, che si sottrae al mio controllo e mi delude immancabilmente, e il mio sentirmi responsabile. Forse perché mi manca quella capacità di vedere il bicchiere mezzo pieno di cui parlavamo prima, di credere in me stessa nonostante tutto.
Mi dispiace tu abbia subito e subisca ancora umiliazioni da parte del prossimo. Capita spesso che le persone come noi siano attratte da gente con un carattere opposto, molto sicuro di sé, che inevitabilmente ci ferisce. Io non ho sperimentato tantissimo questa sensazione, almeno da parte di chi mi vuole bene. Sono circondata da persone amorevoli, forse perché non ho ancora un posto di lavoro serio, che mi pare sia il luogo dove si subiscono maggiori vessazioni. Il precariato è però allo stesso tempo la causa maggiore del mio malessere, che si ripercuote sulle relazioni interpersonali. È il rapporto di coppia a subirne i contraccolpi maggiori in questo momento e ormai mi sento quasi un peso, qualcuno da sopportare e con cui sarà difficoltoso costruire una vita. Mi viene rimproverato di non essere una brava partner, di essere una persona faticosa da gestire e mi sento costantemente minacciata di essere lasciata, anche per via del mio problema. Credo sia davvero colpa mia, stavolta. Sono insoddisfatta di tutto, infelice, non realizzata, rendo tutto complicato e triste, anche le cose belle. È vero però quello che scrivi, cioè che hanno tutti le loro piccole ossessioni, ed è raro incontrare qualcuno che si ritenga davvero felice.
Scusate se vi ho rabbuiati un po'. Spero E. che dall'altra notte ti sia ripresa. Allontana queste persone negative da te e non farti condizionare dai loro giudizi, ma tu questo lo sai già. Un abbraccio

Grazia

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Messaggio  E. Dom Lug 31, 2011 4:42 pm

Grazie della risposta, G. E' vero, sono una persona particolarmente riflessiva e penso che questo costituisca tanto un male (mi giudico costantemente e tendo ad essere insoddisfatta di tutto perché soppeso ogni particolare), quanto un bene (se riesco a ricalibrare il mio asse di giudizio, allora posso sperare di trovare un modo sano di convivere con me stessa). Cesare Pavese diceva che bisogna imparare a fare dei propri difetti dei punti di forza, quindi, in un certo senso, scendere dentro se stessi, affrontare tutta la propria negatività e risorgere può fare davvero di noi delle persone migliori, perché solo allora conosceremo davvero noi stesse e i nostri limiti senza esserne vittime. Ma non è facile e si cade costantemente a terra. Spero che questa vacanza serva a distrarti e a rasserenarti, e che di qui a breve, senza che tu nemmeno te ne accorga, possa sperimentare dentro di te il cambiamento necessario. Sarò autolesionista, ma anche ottimista, e te lo auguro di cuore. Buona estate e buona vita. Un abbraccio

E.
Ospite


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Messaggio  Grazia Mar Ago 02, 2011 10:13 am

Grazie di cuore per l'augurio, sei stata molto carina. La vacanza è andata davvero bene.
Ultimamente non faccio che confrontarmi quotidianamente con me stessa, con i miei difetti, passare ai raggi X dell'analisi interiore ogni dettaglio del mio modo di agire e di pensare. Trovo che scendere negli abissi della propria coscienza sia molto doloroso, ma come tu scrivi non c'è altro rimedio per cambiare se non quello di scandagliarsi minuziosamente per imparare a conoscersi e migliorarsi. Sicuramente so più cose di prima ma ora arriva la parte difficile, cioè quella di sostituire agli atteggiamenti deleteri, quelli consueti intendo, dei nuovi modi di affrontare la realtà, meno ansiogeni e autopunitivi. C'è una lunga strada da fare ma non è mai troppo tardi.
Tu come stai? Vai anche tu in vacanza?
Un abbraccio grande.

Grazia

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Messaggio  E. Gio Ago 04, 2011 3:36 pm

Ciao G.,
son veramente contenta che la vacanza sia andata bene! Io per adesso nisba, ma spero di rifarmi a settembre. Il mio problema sono le gambe, la parte migliore di me, eppure massacrata senza pietà. Sospetto che questa mania delle escoriazioni consista in una specie di punizione di se stessi, ma non riesco bene a capirne i motivi. Accade perché abbiamo una specie di super-ego, ovvero dei parametri di condotta rispetto ai quali ci giudichiamo terribimente severi, oppure perché, ferendoci, preferiamo rammaricarci dei segni auto-indotti per non pensare ad altro? Siamo più giudici severe ed inflessibili di noi stesse o persone senza centro, estremamente fragile che amano sentirsi vittime e basta?
C'è differenza e mi piacerebbe approfondire quest'aspetto. Ho notato che mi ferisco anche quando sono euforica, quando ricevo notizie o vivo fatti per cui provo della gioia inaspettata. Sono incapace di gestire tanto le emozioni negative, quanto quelle positive, e allora mi chiedo se, escoriandomi anche nei momenti positivi, non cerchi di punirmi per una gioia immeritata, oppure se sia semplicemente afflitta dalla puerile e odiosa mania a sentirsi vittima del mondo. Voi che ne pensate?

E.
Ospite


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Messaggio  Grazia Sab Ago 06, 2011 10:12 am

E. ha scritto:abbiamo una specie di super-ego, ovvero dei parametri di condotta rispetto ai quali ci giudichiamo terribilmente severi

Condivido a pieno. In tutta la mia vita non mi sono mai sentita all'altezza dell'immagine idealizzata di una "me" perfetta, presente solo nella mia testa, che non avrei mai eguagliato. E così mi bacchetto per ogni errore, per ogni falla, e sono costantemente frustrata perché non posso competere con quel modello impeccabile e inarrivabile. Sì, abbiamo proprio un super-io severissimo e crudele che ci fa sentire perennemente inadeguate. Vorrei tanto distruggerlo e accontentarmi di come sono. Non penso E. che si tratti d'infantilismo. Forse una piccola parte di vittimismo c'è, o paura di affrontare le situazioni. Personalmente credo che la spiegazione del nostro atteggiamento masochistico non sia univoca, ma sia un amalgama complesso.

Grazia

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